Riforma della 157/92: La fine della caccia al colombaccio da appostamento fisso, una tradizione venatoria radicata da secoli nel territorio italiano

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Di Vasco Feligetti –

La proposta di riforma della legge 157/92, oggi identificata nel DDL 1552, contiene modifiche che rischiano di compromettere profondamente il futuro degli appostamenti fissi al colombaccio e, con essi, un’intera tradizione venatoria radicata nel territorio italiano. Dietro il linguaggio tecnico e apparentemente neutrale del disegno di legge si nascondono trasformazioni strutturali che meritano un’analisi critica seria e priva di fraintendimenti.

Se il DDl 1552 sarà legge è la fine del “diritto storico” degli appostamenti fissi al colombaccio. La legge 157/92 ha sempre garantito stabilità agli appostamenti fissi, agganciando il loro numero massimo alla stagione 1989-90. Un limite pensato per evitare speculazioni e conflitti territoriali. Il DDL 1552 elimina questo vincolo, aprendo la strada a un numero indefinito di nuovi appostamenti.

Questa liberalizzazione, lungi dal favorire i cacciatori, trasforma l’appostamento fisso da bene territoriale storico a risorsa replicabile e potenzialmente commerciabile. Le conseguenze? Conflitti tra cacciatori, incremento della pressione su territori vocati e perdita di valore degli appostamenti esistenti.

Il DDL introduce la definizione di appostamento “precario”: strutture leggere, facilmente rimovibili, prive di opere permanenti. Una concezione totalmente incompatibile con la caccia tradizionale al colombaccio, che richiede stabilità, sicurezza e installazioni complesse per gestire richiami e sistemi di gioco.

Forzare l’appostamento del colombaccio entro schemi “precari” significa snaturare una tradizione secolare, la riforma esclude gli appostamenti al colombaccio dalla categoria degli appostamenti fissi. Una scelta che, anziché offrire maggior libertà, priva questi siti di qualsiasi tutela storica e giuridica.

Senza la definizione di “fisso”, gli appostamenti si ritrovano in un limbo normativo, né pienamente autorizzati né protetti. Questo espone i cacciatori a contestazioni, una tradizione di posto storico, mantenuta da generazioni, rischia di essere equiparata a un riparo temporaneo. L’insieme delle modifiche, cancellazione dei limiti, precarizzazione delle strutture, esclusione degli appostamenti dal regime dei fissi, delega totale alle Regioni, delinea un modello in cui la caccia al colombaccio rischia di spostarsi dal mondo degli appostamenti tradizionali alla sfera dei “servizi venatori”.    Chi controlla il territorio potrà gestire, affittare, limitare o monetizzare gli accessi. Una trasformazione strisciante che avvicina l’Italia ai modelli esteri più privatistici e mette in pericolo il principio storico italiano dell’accesso pubblico alla caccia.

Questa riforma non è un semplice aggiornamento normativo, è un cambiamento culturale profondo. Gli appostamenti fissi al colombaccio, patrimonio di tradizioni, conoscenze e identità locali, vengono ridotti a strutture precarie e prive di tutela. I cacciatori, già ostacolati da burocrazia, normative mutevoli e pressioni ideologiche, rischiano di perdere uno dei pilastri della propria pratica venatoria.

Difendere gli appostamenti al colombaccio significa difendere la storia, il territorio e la continuità stessa della caccia italiana. Ora più che mai è necessario un fronte comune tra cacciatori, associazioni e amministratori consapevoli, per impedire che una riforma sbagliata cancelli decenni di cultura venatoria e di gestione territoriale.