di Vasco Feligetti
Negli ultimi mesi si è parlato molto della proposta di modifica alla Legge 157/92, la norma che da oltre trent’anni disciplina la caccia in Italia. Ci è stato detto che era giunto il momento di riformarla per renderla “più moderna”, “più efficace”, “più sostenibile”. Ma leggendo tra le righe dei documenti ufficiali e ascoltando quanto emerso nelle assemblee territoriali, soprattutto quelle promosse dalla Federazione Italiana della Caccia (FIDC) la realtà che si delinea è ben diversa.
Questa non è una riforma per migliorare l’attività venatoria: è un ridisegno profondo degli equilibri tra agricoltori, cacciatori e istituzioni. Un disegno che favorisce le grandi lobby agricole, con Coldiretti in prima linea, e che svuota la caccia popolare del suo valore sociale, culturale e territoriale.
Secondo la bozza circolata, le aziende faunistico-venatorie potranno trasformarsi in aziende agroturistiche venatorie, guadagnando di fatto il diritto a esercitare la caccia 365 giorni all’anno, 24 ore su 24, su qualsiasi specie ritenuta “invasiva”. Con il pretesto dei danni agricoli, si crea una filiera del “contenimento remunerato” in cui gli agricoltori, dichiarandosi danneggiati, potranno autorizzare l’abbattimento illimitato di specie selvatiche, migratorie incluse, senza più i limiti imposti dalle attuali norme sulla gestione sostenibile della fauna.
Viene inoltre introdotto un principio pericoloso: la proprietà della fauna invasiva è attribuita al proprietario del fondo. Un’idea che cancella il concetto costituzionale della fauna come patrimonio indisponibile dello Stato, aprendo la strada alla sua mercificazione.
Nel frattempo, ai cacciatori “comuni”, quelli che da generazioni mantengono viva la cultura venatoria con rispetto e sacrificio, si offre un piccolo contentino. Si parla di un possibile reintegro del fringuello, nel calendario venatorio, si fanno promesse sui richiami vivi, sui valichi. Ma è solo un anestetico. Un tentativo di tacitare le voci critiche, mentre dietro le quinte si compie lo smantellamento dell’idea stessa di caccia pubblica.
Le assemblee FIDC hanno avuto un unico scopo: legittimare un sistema che sostituisce la caccia regolamentata con un mercato di concessioni, in cui l’accesso all’attività venatoria dipenderà sempre più dalla capacità di pagare. Non si parla più di diritto di accesso a un territorio pubblico o collettivo, ma di offerte economiche per cacciare in fondi privati, con una dinamica simile alle aste. Un modello che esclude i cacciatori meno abbienti, i giovani, e chi vive la caccia come parte integrante della propria identità culturale.
Questa proposta di riforma non rafforza la caccia: la trasforma in qualcos’altro. In un’attività privata, clientelare, selettiva. Dove il cacciatore non è più soggetto attivo della gestione faunistica, ma cliente di un sistema chiuso, amministrato da pochi.
Se questa legge passerà così com’è, sarà la fine della caccia come l’abbiamo conosciuta. E chi l’ha amata, vissuta e tramandata capirà troppo tardi di essere stato tradito, non dagli ambientalisti, ma da chi avrebbe dovuto rappresentarci.