Di Vasco Feligetti
Durante la recente interrogazione parlamentare al ministro Lollobrigida, i deputati Zanella e Bruzzone hanno toccato uno dei temi più caldi e divisivi della nostra epoca: la caccia e la gestione faunistica. Ma se l’intervento della deputata di Alleanza Verdi e Sinistra ha reiterato i soliti slogan ideologici, quello dell’onorevole Bruzzone ha invece avuto il merito di squarciare il velo su una verità che in molti fingono di non vedere: la protesta delle 47 associazioni animaliste contro la modifica della Legge 157/92 non è altro che l’ennesima operazione di marketing politico, giocata sull’emotività e sull’ignoranza.
Per queste sigle, molte delle quali sconosciute ai cittadini ma attivissime sui social, la fauna non è una risorsa da gestire, ma un’immagine da sfruttare. I cinghiali distruggono i raccolti e causano incidenti? Le lepri e i fagiani scompaiono dai territori? I piccoli agricoltori e i cacciatori abbandonano le campagne? Nessuna risposta. Nessuna proposta. Solo slogan e campagne di comunicazione infarcite di video strappalacrime, del tutto avulse dalla realtà dei territori.
L’intervento dell’on. Bruzzone ha centrato il punto: siamo di fronte a un’ipocrisia costruita a tavolino, dove la sofferenza animale è evocata solo quando fa comodo, mentre i problemi veri, ambientali, agricoli, sociali, vengono sistematicamente ignorati. Il tutto con un unico obiettivo: alimentare consensi elettorali, facendo leva su una narrazione semplicistica e colpevolizzante nei confronti del mondo venatorio e rurale.
La Legge 157/92, nata oltre trent’anni fa, è ormai inadeguata. Lo dicono i numeri, lo gridano i territori. Ma tra le sue tante lacune, una spicca per gravità: la totale assenza di una disciplina organica e razionale per la gestione della fauna migratoria, specie oggi che la pressione internazionale e le mutate condizioni ecologiche richiedono un approccio nazionale coordinato e scientifico.
Chi si oppone a qualsiasi modifica della legge non difende gli animali: difende una visione ideologica, estranea alla realtà rurale italiana. È ora che il mondo politico prenda atto di questo cortocircuito e smetta di dare ascolto a chi ha trasformato la fauna in uno strumento di battaglia ideologica, invece che in una risorsa da proteggere, gestire e valorizzare in modo sostenibile.
Se davvero vogliamo tutelare la biodiversità e garantire equilibrio tra natura e società, servono meno ideologia e più competenza. Serve ascoltare chi vive i territori, non chi li osserva solo da uno schermo.