La caccia in Italia si trova a un bivio, o rinasce con una riforma seria, fondata sulla scienza e sulla gestione condivisa del territorio, oppure sarà progressivamente marginalizzata e resa inaccessibile al cittadino comune. Le leggi attuali, in particolare la 157/92, hanno generato un sistema clientelare, inefficace, e spesso dannoso per l’equilibrio faunistico e agricolo del Paese.
La convergenza di segnali – FIDC che spinge per una riforma della 157/92, Coldiretti che si muove come un attore sempre più centrale, ISPRA che pubblica dati in un’ottica più gestionale che conservazionista, e le associazioni anticaccia che avanzano richieste radicali come l’abrogazione dell’art. 842 — ecco che tutto ciò fa pensare a una strategia coordinata per ridisegnare completamente il sistema venatorio italiano.
La 157/92, per quanto ormai superata in tanti aspetti, prevedeva un modello cooperativo, in cui il cacciatore era parte attiva nella gestione della fauna. Quel modello oggi viene contestato proprio perché ha mostrato falle — in parte per responsabilità delle stesse associazioni venatorie, che non hanno saputo rinnovarsi e rappresentare in modo efficace gli interessi dei propri iscritti.
La Legge 157/92 non nasce per tutelare il cacciatore come parte integrante della gestione faunistica, ma per ristrutturare il potere sul territorio, spostandolo in parte dallo Stato alle Regioni, e in gran parte alle associazioni venatorie. Di fatto, ha lottizzato la caccia, distribuendo il potere tra soggetti organizzati e riconosciuti dallo Stato, in modo funzionale a un controllo politico e burocratico dell’attività venatoria.
Il privilegio gestionale concesso ai cacciatori tramite ATC e CA (ambiti territoriali e comprensori alpini), si è poi rivelato incompatibile con un vero modello di gestione faunistica sostenibile, se l’obiettivo è il controllo faunistico efficace, la prevenzione dei danni e il contenimento della fauna problematica, allora l’attuale struttura basata su concessioni di fatto blindate e potere associativo deve essere superata, gli ATC sono enti che drenano risorse pubbliche senza risultati concreti. I 200 milioni di euro di danni risarciti nel 2024 parlano da soli, nessuna vera prevenzione, solo rincorsa al disastro, e tutto questo in nome di una gestione che esclude i veri protagonisti del territorio, agricoltori e cacciatori locali.
Se l’art. 842 del Codice Civile dovesse essere davvero abrogato, la caccia cambierebbe pelle, da diritto collettivo legato alla funzione sociale della proprietà privata e al pubblico interesse, diventerebbe un’attività legata esclusivamente al pagamento e alla proprietà, si torna al “Medio Evo” quando solo il padrone si beneficiava della caccia. In uno scenario del genere il cacciatore medio o meno abbiente verrebbe tagliato fuori, a meno di poter accedere a proprietà private o affittare terreni, con costi potenzialmente insostenibili. Si aprirebbe così la strada a una caccia “a pagamento” sul modello privatistico, dove solo chi può permetterselo caccia, magari in aziende faunistico-venatorie o in territori gestiti da agricoltori/associazioni con logiche di mercato. I cacciatori locali, che fino ad oggi hanno contribuito gratuitamente o quasi alla gestione faunistico-ambientale, verrebbero estromessi o messi in posizione subordinata.
la vera gestione faunistica e territoriale non può essere centralizzata né omologata, perché ogni territorio ha storia, tradizione, cultura venatoria e agricola propria. La caccia, quella vera, radicata, sostenibile, nasce dal legame con il luogo e si regge su equilibri locali. Ogni pratica, dalla caccia al “Capanno delle Palombe” a me tanto caro, alla braccata, dalla migratoria alla selezione, ha una sua logica che non può essere compresa né regolata da chi quel territorio non lo vive.
Bisogna fare un passo indietro, siamo forse ancora in tempo a restituire dignità alla figura del cacciatore come custode del territorio, rendere la caccia accessibile anche ai cittadini meno abbienti e garantire una gestione faunistica fondata su scienza, collaborazione e buon senso e nell’etica, ormai quasi erba selvatica, se la caccia diventerà solo un esercizio di controllo, la figura del cacciatore sarà un braccio operativo privo di dignità.
Solo così la caccia può avere un futuro nel nostro Paese.
palombe.it – Vasco Feligetti