Rimane difficile comprendere fino in fondo quanto e perché siano così sensibili i nervi degli anticaccia. È bastata una dichiarazione del Ministro Lollobrigida a Caccia Village, riguardante una possibile modifica alla legge 157/92, per scatenare un'ondata di polemiche. Tutti i partiti di sinistra, "all'unisono", si sono lanciati in difesa degli animali, e l'intero comparto politico ha colto l'occasione per attaccare il Ministro e il Governo, con proclami spesso più ideologici che razionali.
Ma qui sorge spontanea una domanda: perché tanto rumore per una modifica di legge di cui, ad oggi, non esiste ancora un testo ufficiale?
E soprattutto: perché quello stesso rumore non si è sentito di fronte al piano di controllo del colombaccio in Emilia-Romagna, che si ricorderà come il massacro del colombaccio con abbattimenti, decine di migliaia di colombacci, sistematici su larga scala e per cinque anni ? Perché le associazioni animaliste, sempre pronte a fare barricate contro il mondo venatorio, non hanno levato gli scudi con la stessa intensità contro un provvedimento che, questo sì, ha avuto conseguenze concrete e immediate sulla fauna?
E allora ci chiediamo: perché tanto clamore per l'orso JJ4 o per i lupi che scendono nei paesi, e invece nulla per il colombaccio? Forse il colombaccio non è un animale abbastanza "mediatico"? Forse non ha lo stesso impatto emotivo sui social? O più semplicemente, non fa comodo sollevare polveroni quando gli abbattimenti non sono legati alla caccia ma decisi da enti pubblici "amici" e avallati da chi oggi finge di scandalizzarsi?
Ancora una volta emerge un'amara verità, non è l'amore per gli animali a muovere certe proteste, ma l'opportunità politica. Il colombaccio, a differenza dell'orso o del lupo, non regala consenso elettorale, non finisce sulle prime pagine con gli occhi lucidi di chi vuole commuovere a comando. E così, mentre si demonizzano i cacciatori, si tace su interventi ben più impattanti, purché portino la firma "giusta".
La caccia, con tutte le sue tradizioni, le sue regole e il suo contributo alla gestione del territorio, è diventata il capro espiatorio perfetto per chi vuole mostrarsi paladino di una moralità di facciata. E così, mentre i veri problemi, dalla peste suina ai danni all'agricoltura, dal degrado degli ecosistemi al proliferare incontrollato di alcune specie, vengono ignorati, il dibattito pubblico si concentra su slogan e isterie mediatiche.
Che fine ha fatto il buon senso? Dove si è nascosta la coerenza?
Forse, a forza di gridare contro i cacciatori, qualcuno spera che il silenzio della ragione venga confuso con l'eco di una battaglia giusta. Ma chi conosce la campagna, la natura e il valore della gestione faunistica, non si lascia più abbindolare.
È tempo che anche i cacciatori e gli agricoltori alzino la voce, ma non per difendere un privilegio, ma per rivendicare il diritto a una discussione onesta, libera da pregiudizi e faziose strumentalizzazioni.
www.palombe.it – Vasco Feligetti